Saturnia 42°39'59''N 11°30'15''E
Giardino dei tarocchi 42°25'33''N 11°27'59''E
Colline del Morellino 42°41'23''N 11°20'05''
Capalbio 42° 27' 15''N 11° 25' 21''E
Per chi viaggia senza sosta, spostandosi come la pallina impazzita di un flipper, "Il Campeggio" è un oasi di pace. Dove buttare le stanche ossa sul materassino. O sulla nuda terra, se ti chiami Lavale e non hai considerato opportuno portarlo. Comunque sia è l'ostello del pellegrino, il porto del marinaio, la voliera del piccione.
In questo episodio le nostre due viaggiatrici decidono di cuocere al fuoco lento delle pozze sulfuree di Saturnia, trovando tra quei miasmi familiari il giusto posto nel mondo. E trasformando inconsapevolmente e indelebilmente l'odore di cerino strinato nel terzo e fedele membro dell'equipaggio.
Essendo tornate due, l'Effetto Capraia andava scemando e l'unico intermezzo romantico fu un garbato e tatuato ragazzo padre.
Il giovane babbo, trattasi ovviamente di indigeno, cercava invano di convincere la figlioletta che la pozza occupata da Lavocenarrante fosse la più bella di tutte. Alla figlioletta la mia pozza però garbava al pari di tutte le altre, quindi per non far torto a nessuno saltava dall'una all'altra salvandosi miracolosamente dalla frattura di qualche vertebra, come solo i bambini sanno fare. I due personaggi non poterono perciò scambiarsi che qualche frase di circostanza e mezzo sorriso, distratto dalla sempre imminente tragedia sfiorata. Tale breve aneddoto trova comunque la sua importanza nella conferma un'altra famosa teoria: la predilezione magnetica e matematica che i randagi del branco hanno per Lavocenarrante.
Cotte che furono a puntino, sulfuree a sufficienza da potersi considerare degne, ma non abbastanza stanche da battere la ritirata, attraversarono le dolci colline del Morellino, fino ad arrivare al Giardino dei Tarocchi. Se per concessione alla finzione narrativa eliminiamo le famigliole con bambini e le loro foto ricordo in groppa a "La Morte", possiamo dire che qui le viaggiatrici si trovarono immerse in un secondo giardino fatato e sospeso, dove gli Arcani si nascondevano e mostravano in un labirinto di specchi e riflessi. Fatto un buon numero di foto e tributata la giusta richiesta al loro Arcano preferito, venne anche per quel giorno, l'ora di ritirarsi.
Il gentile custode del giardino indicò alle fanciulle il campeggio più prossimo.
Chi conosce quel tratto di costa sa che l'antica Via Consolare Aurelia, come lo stige, divide il mare dal resto del mondo. Saprà anche, e il particolare non è irrilevante, che la regione Lazio è alle porte.
Il nostro camping stava difatti sull'Aurelia, ovviamente dal lato sbagliato, ed era una colonia (forse penale) della regione confinante.
Al nostro arrivo ci fecero accomodare la macchina nel punto in cui potesse dare il maggior fastidio al più gran numerosi persone, procedendo ad una registrazione che definirei prossima alla schedatura, interrotta sul più bello da tre strani individui e dalla grossa scimmia che si portavano appresso.
I tre hanno impiegato circa venti minuti contati d'orologio a cercare di capire quanto costava la tenda, quanto la macchina, quanto la persona e a fare le somme, altri venti a capire perché non potevano usare la tariffa "oltre il 23esimo giorno" fermandosi solo una notte, e gli ultimi dieci a cercare di convincere la signora della reception a far loro un non meglio identificato abbonamento da 23 ingressi.
Colme di stupore per la varietà e l'originalità dei nostri simili guardammo bene di montare la tenda il più lontano possibile da loro. Forse per questa diffidenza il destino ci ha punite. Mentre centurioni postmoderni arrostivano sulle braci qualunque tipo di creatura vivente-strisciante-natante-semovente, i nostri nuovi vicini, una giovane e pingue coppia, guardavano da non si sa quale dispositivo nascosto nella loro tenda l'intera serie de "La Tata". In ultimo, quasi al crepuscolo, altre due coppie montarono la tenda proprio dietro di noi, sparendo poi, tutti tirati a lustro, verso i locali rivieraschi.
Il racconto della notte che ne seguì è tratto dalla cronaca di Lavale, poiché Lavocenarrante, nota urbi et orbi per lo stato di morte apparente in cui cade appena tocca un cucino, non si avvide di nulla, se non di un vago miagolio.
Gli ultimi arrivati, che si rivelarono un quartetto di coatti, rientrarono a notte inoltrata miagolando vistosamente e destando tutto il campeggio, tranne me. Non sufficientemente soddisfatti del grado di molestia dei loro comportamenti e delle relative quantità di alcool probabilmente assunte, trovarono appropriato aggiungere altre sostanze psicotrope e al miagolio seguirono poco raffinati rumori di naso. Lavale, esasperata dal suo sonno turbato era quasi sul punto di uscire per chiedere silenzio, ma forse mossa da un guizzo di spirito di conservazione, forse redarguita da me nel sonno, convenì che non era il caso di affrontare due marcantoni strafatti e le loro fidanzate, grosse comunque tre volte noi, senza per di più poter contare su un mio pronto risveglio. Così fu che si fece cullare dal concerto cacofonico dei coatti, finché l'alba non ci liberò di loro, sprofondandoli nel coma etilico.
Al mattino, smontando la tenda, uno spettacolo desolato e desolante ci si offriva: i marcantoni dormivano riversi sul prato con un filo di bava alla bocca e delle mutande attillate fucsia.
La nostra uscita di scena fu accompagnata dagli sguardi imploranti delle massaie dei bungalow vicini "vi prego, portateci via con voi!!".
Il giovane babbo, trattasi ovviamente di indigeno, cercava invano di convincere la figlioletta che la pozza occupata da Lavocenarrante fosse la più bella di tutte. Alla figlioletta la mia pozza però garbava al pari di tutte le altre, quindi per non far torto a nessuno saltava dall'una all'altra salvandosi miracolosamente dalla frattura di qualche vertebra, come solo i bambini sanno fare. I due personaggi non poterono perciò scambiarsi che qualche frase di circostanza e mezzo sorriso, distratto dalla sempre imminente tragedia sfiorata. Tale breve aneddoto trova comunque la sua importanza nella conferma un'altra famosa teoria: la predilezione magnetica e matematica che i randagi del branco hanno per Lavocenarrante.
Cotte che furono a puntino, sulfuree a sufficienza da potersi considerare degne, ma non abbastanza stanche da battere la ritirata, attraversarono le dolci colline del Morellino, fino ad arrivare al Giardino dei Tarocchi. Se per concessione alla finzione narrativa eliminiamo le famigliole con bambini e le loro foto ricordo in groppa a "La Morte", possiamo dire che qui le viaggiatrici si trovarono immerse in un secondo giardino fatato e sospeso, dove gli Arcani si nascondevano e mostravano in un labirinto di specchi e riflessi. Fatto un buon numero di foto e tributata la giusta richiesta al loro Arcano preferito, venne anche per quel giorno, l'ora di ritirarsi.
Il gentile custode del giardino indicò alle fanciulle il campeggio più prossimo.
Chi conosce quel tratto di costa sa che l'antica Via Consolare Aurelia, come lo stige, divide il mare dal resto del mondo. Saprà anche, e il particolare non è irrilevante, che la regione Lazio è alle porte.
Il nostro camping stava difatti sull'Aurelia, ovviamente dal lato sbagliato, ed era una colonia (forse penale) della regione confinante.
Al nostro arrivo ci fecero accomodare la macchina nel punto in cui potesse dare il maggior fastidio al più gran numerosi persone, procedendo ad una registrazione che definirei prossima alla schedatura, interrotta sul più bello da tre strani individui e dalla grossa scimmia che si portavano appresso.
I tre hanno impiegato circa venti minuti contati d'orologio a cercare di capire quanto costava la tenda, quanto la macchina, quanto la persona e a fare le somme, altri venti a capire perché non potevano usare la tariffa "oltre il 23esimo giorno" fermandosi solo una notte, e gli ultimi dieci a cercare di convincere la signora della reception a far loro un non meglio identificato abbonamento da 23 ingressi.
Colme di stupore per la varietà e l'originalità dei nostri simili guardammo bene di montare la tenda il più lontano possibile da loro. Forse per questa diffidenza il destino ci ha punite. Mentre centurioni postmoderni arrostivano sulle braci qualunque tipo di creatura vivente-strisciante-natante-semovente, i nostri nuovi vicini, una giovane e pingue coppia, guardavano da non si sa quale dispositivo nascosto nella loro tenda l'intera serie de "La Tata". In ultimo, quasi al crepuscolo, altre due coppie montarono la tenda proprio dietro di noi, sparendo poi, tutti tirati a lustro, verso i locali rivieraschi.
Il racconto della notte che ne seguì è tratto dalla cronaca di Lavale, poiché Lavocenarrante, nota urbi et orbi per lo stato di morte apparente in cui cade appena tocca un cucino, non si avvide di nulla, se non di un vago miagolio.
Gli ultimi arrivati, che si rivelarono un quartetto di coatti, rientrarono a notte inoltrata miagolando vistosamente e destando tutto il campeggio, tranne me. Non sufficientemente soddisfatti del grado di molestia dei loro comportamenti e delle relative quantità di alcool probabilmente assunte, trovarono appropriato aggiungere altre sostanze psicotrope e al miagolio seguirono poco raffinati rumori di naso. Lavale, esasperata dal suo sonno turbato era quasi sul punto di uscire per chiedere silenzio, ma forse mossa da un guizzo di spirito di conservazione, forse redarguita da me nel sonno, convenì che non era il caso di affrontare due marcantoni strafatti e le loro fidanzate, grosse comunque tre volte noi, senza per di più poter contare su un mio pronto risveglio. Così fu che si fece cullare dal concerto cacofonico dei coatti, finché l'alba non ci liberò di loro, sprofondandoli nel coma etilico.
Al mattino, smontando la tenda, uno spettacolo desolato e desolante ci si offriva: i marcantoni dormivano riversi sul prato con un filo di bava alla bocca e delle mutande attillate fucsia.
La nostra uscita di scena fu accompagnata dagli sguardi imploranti delle massaie dei bungalow vicini "vi prego, portateci via con voi!!".